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«Stabat Mater», il cortometraggio sui detenuti proiettato in Vaticano

 16 GIU 2022

«Stabat mater», il cortometraggio sui detenuti proiettato in Vaticano

di Gennaro Scala

Il cortometraggio di Giuseppe Tesi, girato nella casa circondariale di Pistoia, in piena pandemia con gli attori Melania Giglio e Giuseppe Sartori e dieci reclusi

È un percorso di fede e di speranza, ma anche il racconto crudo di un microcosmo che appare come cartina di tornasole della società. È il cortometraggio «Stabat mater» del regista Giuseppe Tesi, girato nella casa circondariale di Pistoia in piena pandemia. Ha viaggiato come la sua storia, l’opera di Tesi, lungo tutta la Penisola. I volti intensi dei due attori professionisti, Melania Giglio e Giuseppe Sartori, e quelli potenti di una decina di detenuti della struttura penitenziaria toscana, hanno toccato prosceni d’eccezione, da nord a sud. L’ultima tappa è stata in Vaticano, all’interno della Filmoteca della Santa Sede, dove «Stabat mater» è stato proiettato alla presenza di Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede e della senatrice Paola Binetti, vicepresidente della Commissione straordinaria per la tutela e promozione dei diritti umani. «È stato un percorso lungo e difficile — ha affermato il regista Giuseppe Tesi — Tutto è nato dall’idea di un laboratorio teatrale iniziato proprio all’interno della casa circondariale di Pistoia nel 2018». Da quello è nata l’idea del film. «Molte sono state le difficoltà per i permessi e il lavoro è stato interrotto per la pandemia» aggiunge Tesi. Ma quando un progetto è forte e valido, supera qualunque impedimento. Petrarca diceva che nelle opere si celava tutto quello che aveva colpito l’autore. I suoi trascorsi, le sue muse. L’incedere del film ricorda Pasolini e arriva a volte come un pugno in pieno petto. Tratto dal dramma «Madri» della poetessa Grazia Frisina, «Stabat mater» di Electra Teatro arriva intenso, diretto. Il racconto si sviluppa in maniera ritmica, ma non lineare. Sono sussulti emotivi che sottendono all’antonomasia del vero. Laddove raggiunge il diaframma che lo divide dal reale. La madre di tutte le madri, la «mamma universale» e il suo dolore per il figlio morto sono al centro di una narrazione, a tratti, anche verbalmente violenta. Trentatrè minuti in cui il racconto drammatico viene intervallato dalle parole di detenuti che raccontano la loro storia compiendo il percorso inverso, dal reale al vero. «Il carcere è un passaggio di consapevolezza, la vita mi ha insegnato che ci sono anche realtà peggiori» dice uno dei detenuti che hanno raccontato la loro storia davanti alla telecamera. È l’apertura alla speranza. È guardare oltre le mura, oltre le sbarre, oltre quel microcosmo sociale.

l prefetto Ruffini (a sinistra), il giornalista Davide Dionisi e la protagonista del film Melania Giglio



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